Per essere in regola e veramente sicuri quando si gira in India in moto non servono luci allo xeno o catarifrangenti o led strip perimetrali. Se avete intenzione di andarci munitevi di un clacson come Cristo comanda e il mondo saprà che esistete. La stessa regola vale in Pakistan, ma nel paese suo nemico naturale trova la sua massima espressione, diventando sintomo di un modo di vivere. A differenza dei pakistani, che suonano per lo più in fase di sorpasso e smettono una volta fatta spostare l’auto di fronte, gli indiani suonano di continuo, anche senza apparente motivo. Anche sulle stradine che collegano i villaggi del Rajasthan, dove eravamo solo noi e un’altra motoretta, venivamo allertati della presenza di un altro veicolo con fracassona solerzia. Sono quaranta giorni che mi chiedo il perché di questa cosa e forse ho capito il motivo di questa predisposizione alla caciara.
India in Moto. L’udito vince sulla Vista
Se Pavlov, invece di stressare il suo povero canuzzo facendolo sbavare con l’illusione di una ciotola di pappa, si fosse fatto un giro in India in moto, avrebbe avuto un ulteriore livello di approfondimento della sua teoria, potendo constatare che per gli indiani lo stimolo acustico è prioritario su quello visivo.
Cioè: loro ti vedono, ma se non suoni il clacson non esisti come essere senziente. Se non suoni anche durante la normale marcia in corsia sei paragonabile a un paracarro, un cane o un cammello. Una mucca no ché quella è sacra: non sia mai la mettono sotto, sono cazzi. Anzi, in tutte le occasioni in cui un sacro bovino stava al centro della carreggiata, il furgone o il camion di fronte a noi sembrava più propenso a mettere sotto gli umani su due ruote che il quadrupede, in caso di scelta estrema. E infatti di carcasse di cani e cammelli sono tappezzate le highway, mentre di mucche scafazzate se ne vedono pochissime.
L’India è il secondo paese più popoloso al mondo, unmiliardoeduecentomilionidipersone che vivono uno vicino all’altro, stretti stretti e fitti fitti. Mangiano, urinano e defecano a pochi centimetri l’uno dall’altro. Producono tonnellate di spazzatura in mezzo alla quale vivono regolarmente, spartendosela con topi, cani e mucche e bruciandola la sera per riscaldarsi ai bordi delle strade, in città brulicanti di qualsiasi cosa sia in grado di muoversi. Le biciclette attraversano in assoluta libertà e i pedoni sono schegge impazzite di sorniona rilassatezza. Sembra quasi non abbiano voglia di vivere.
In questo paese in cui ognuno fa apparentemente il cazzo che gli pare la prossemica è una disciplina assolutamente inutile e lo spazio vitale un concetto assurdo. Quando si guida, l’unico modo per evitare l’impatto con qualunque cosa è suonare di continuo: gli occhi sono soltanto due, il campo visivo è di centottanta gradi e in qualche modo bisogna pure attirare l’attenzione. Per questo motivo tutti fanno a gara a chi suona di più: le motorette hanno trombe da automobili, queste suonano come fossero camion e i camion hanno avvisatori così assurdi da sembrare le tastiere della PFM sparate a 110 decibel.
Di conseguenza l’atmosfera è quella di un paese dove ognuno si muove imbambolato sulla propria traiettoria, in attesa che qualcuno gliela faccia cambiare con un urlo, una scampanellata o una botta di clacson dell’altro mondo. Verrebbe spontaneo aspettarsi una catena infinita di incidenti mortali e città ingorgate da tamponamenti continui. Invece no.
India in moto. Psicopatologia del riflesso pronto.
In quaranta giorni di permanenza in India del Nord abbiamo visto solo in due o tre occasioni carcasse di veicoli a bordo strada: erano camion ribaltati, o con le cabine appiattite con poche speranze per il conducente, dai quali donne in abiti coloratissimi portavano via il contenuto del cassone. Incidenti mortali sì, ma solo due. Le cose sono due: o c’era poca gente per strada, o il fatto di doversi aspettare di tutto fa sì che i riflessi siano sempre pronti.
Proprio sul retro di camion e furgoni è una costante l’invito a suonare il clacson e a usare gli abbaglianti di notte: “Blow horn please” in carattere capitale, accompagnato da uno “Use dipper at night” di dimensioni minori, un invito colorato a segnalare la propria presenza al conducente, troppo impegnato a guidare, o a pensare ai cazzi suoi, per dare un’occhiata ai retrovisori. Sembra un segno di gran civiltà, detta così. Peccato che poi tutti ne abusino, guidando costantemente con gli abbaglianti sparati in faccia a chiunque. E a nulla serve lampeggiare di continuo.
L’avviso di suonare il clacson è presente ovunque… …anche sui furgoni. Qualcuno esagera un po’, ma ci piace così.
Di questo modo di guidare e vivere la strada ho cercato di farmene una ragione e ci ero quasi riuscito. Ho cercato fino alla fine di trovare un senso e una logica accettabili nella guida di questa gente, andando oltre il mancato rispetto delle precedenze, dei sensi di marcia, dell’inutilità di semafori e rotatorie attraversate contromano. Ci ero quasi riuscito, ma sulla strada per Varanasi ho deciso definitivamente che questa gente, alla guida, non merita il mio rispetto.
Dopo il tramonto, il fumo dei mille fuochi si mescolava alla bruma di una giornata uggiosa appena terminata. Per un centinaio di chilometri abbiamo percorso una Highway a quattro corsie, la Sh19, attraversando banchi di nebbia più o meno fitti che avvolgevano centri abitati popolati dal solito brulichìo umano e bovino, oltre a decine di biciclette senza luci. A queste cose mi sono ormai abituato come prevedibili durante la guida. La cosa di cui non avevo esperienza e che mi ha dato davvero sensazione di pericolo è stato avere gli abbaglianti di quasi ogni veicolo puntato in faccia, camion in primis, a illuminare la foschia come fosse un muro di latte.
A scuola guida neanche lo dicono che non si fa: basta la prima volta che si incontra la nebbia per sperimentare la fastidiosa sensazione di non vedere nulla. Ma loro no. Pur non vedendo una mazza continuano a tenere alti quei fari, affidandosi ai clacson per sapere cosa abbiano davanti. Forse un giro in India in moto avrebbe dovuto farselo anche Darwin, ma mi sa che all’epoca il motore a scoppio non era stato ancora inventato. Il traffico non è stata la cosa più fastidiosa, ma sicuramente è stata la più pericolosa, di questo paese che alla fine abbiamo quasi odiato. Ma il resto ve lo dico un’altra volta.