E siamo in Macedonia.
Ci troviamo in discreta quota e l’aria è frizzantina quanto basta a rendere sopportabile un pomeriggio d’agosto.
Qui, vicino al confine albanese, è tutto montagna.Montagna verde tappezzata di vegetazione.
Un manto fitto di alberi e prati e cespugli placidamente rigogliosi, ben diverso dalla campagna ingiallita dal sole lasciata prima della frontiera. Di gente ce n’è poca in giro: incontriamo auto di recente fabbricazione e qualche trattore.
Pochi i carretti e gli asini. Il navigatore ha vita facile essendo la strada pressochè obbligata per arrivare a Skopje.
Per una cinquantina di km troviamo bandiere albanesi che fronteggiano croci cristiane.
Probabilmente quanto rimane del breve coinvolgimento della Macedonia nel conflitto in Kosovo,
dal quale migliaia di persone migrarono qui per poco tempo, quanto bastò per dare l’avvio a un conflitto etnico tra albanesi e macedoni, nel quale i primi rivendicavano l’autonomia della regione nord dal resto del paese.
Un contingente NATO mise fine alle violenze, mantenendo intatti i confini della repubblica con l’impegno, da parte del governo, di garantire i diritti e l’identità dell’etnia minoritaria.
Tant’è vero che , nei comuni a maggioranza albanese, la loro lingua è quella ufficiale.
Guardare come ognuna delle due parti innalzi un suo simbolo in punti strategici ci fa sorridere e pensare, inevitabilmente, a una gara a chi ce l’ha più grande.
Proseguiamo a velocità di crociera scambiandoci impressioni e cazzeggiando senza uno straccio di moneta locale addosso.
Non abbiamo cambiato soldi più che altro perché non abbiamo trovato nessun posto dove farlo: la frontiera era deserta e finora nessun paesino dove qualche esercizio avesse l’ aspetto di un cambiavalute o qualcosa del genere. L’ottimismo di Peppina suggerisce con insistenza che qui accettano gli euro, il mio scetticismo risponde che non è proprio matematicamente certo. Vince la sua positività quando ci fermiamo in un ristorantino incastonato in un pezzo di campagna attraversato da un ruscelletto, dove beviamo un paio di caffè e iniziamo a studiare seriamente un percorso.
Che non sappiamo quale strada fare lo sapete già. L’obiettivo è arrivare in Romania, e i punti fermi sono un festival di musica popolare a Prislop, nel Maramures al confine con l’Ucraina, e una visita a Cluj Napoca dai tipi di Heavy Duties, i produttori delle valigie che monto. In realtà sia io che Alessandra vorremo arrivare sul Mar Nero e le strade sono due: andare attraverso la Bulgaria in direzione est, oppure entrare in Romania e attraversare la Valacchia sempre verso Levante. Coniugare questa meta con le altre diventa un attimo complicato, visto il tempo a disposizione e la forma circolare di quella terra. Ancor più se non vogliamo attraversare i Balcani come schegge. Decidiamo che punteremo verso Sofia (BG) e da lì proseguiremo per Oryahovo dove c’è un traghetto che attraversa il Danubio e sbarca in Romania. Da lì vedremo cosa fare.
Proseguiamo verso la capitale nel nulla delle montagne della Macedonia
iniziando a scendere di quota. I centri abitati si infittiscono, così come le indicazioni in verde per Skopje. Potremmo anche continuare sulle statali, ma il sole sta calando e arrivare prima del buio non ci dispiacerebbe. Ci fermiamo dubbiosi e incerti in mezzo a una diramazione: dritto autostrada, a destra statale.
Chiediamo info a un signore in auto che ci dice di andare dritti e, colpo di scena, tira fuori le monete per il casello mentre noi rimaniamo allibiti mentre puntiamo e varchiamo il primo casello.
Arrivati al secondo casello tocca nuovamente pagare.
Non facciamo in tempo a pensare come fare che ci si accosta una coppia in auto e ci da altri 20 dinari.
Sapevamo dell’ospitalità dell’est europa e ne abbiamo avuto prove consistenti nella giornata, ma due botte di culo così superano qualsiasi aspettativa e previsione, tanto che facciamo mettere in posa i nostri benefattori per una foto al volo.
Saremmo tentati di metterci a fare i punkabbestia ad ogni casello, ma non ci piace quest’ ostentazione dell’Italian Style. Paghiamo in euro, resto in dinari perdendoci un po’ e proseguiamo arrivando a Skopje che è ormai buio. Un tipo ci guida col suo macchinone fino in centro.
In un attimo passiamo dalle baracche dei Rom a una città linda, scintillante e moderna
con centri commerciali e un asfalto che pare un biliardo. E sì: non si direbbe proprio che questa era la principale città della Jugoslavia del sud, il confine remoto di uno stato efficiente e solidamente fondato sulla personalità di Tito.
Ci si respira aria di capitalismo ben consolidato, apparentemente mai intaccato da ideologie o iconografie che non fossero quelle del consumo. Invece lo era.
Qualcosa in più me la dice Riste mentre aspetto insieme a lui e alla sua compagna l’esito della contrattazione di Peppina per l’ostello. Abbiamo chiesto informazioni a loro per strada e ci hanno accompagnato con le loro bici. Riste mi dice che nella repubblica vivono solo due milioni di persone, di cui buona parte a Skopje.
Dalla guerra civile jugoslava si sono subito chiamati fuori avviando un’economia di mercato, un po’ come fece la Slovenia, con tanto di prostitute e casinò (ma questo lui non lo dice).
A suo dire Skopje è molto vivace grazie agli studenti durante l’inverno e la primavera e il turismo, soprattutto quello naturalistico, comincia a svilupparsi bene. Al terzo ostello Alessandra torna sorridente e soddisfatta della sua trattativa. Salutiamo i nostri amici dopo una foto fatta davvero a capocchia da una passante. Per la cronaca, il chiosco non vende alcoolici, così come gli altri posti nei dintorni. Ceniamo con zuppa di freselle, pomodori e tonno che vi posso assicurare di bontà eccezionale. L’ostello è pulitissimo e ben organizzato e la tipa alla reception, non resistendo al fulminante fascino del sottoscritto, scala la cifra di altri cinque euro. E possiamo anche pagare l’indomani. I macedoni sono proprio ganzi! E noi gli lasciamo pure una firma sul muro.
Di Alessandro ce n’è uno solo.
L’indomani faccio un giro per cambiare un po’ di soldi. L’ostello sta proprio a ridosso della piazza centrale, geometricamente organizzata intorno alla statua di Alessandro che svetta al centro, circondata da fontane che variano il getto presumibilmente a tempo della musica sinfonica che spara da altoparlanti gracchianti per la poca potenza. Fa abbastanza sorridere per la pretenziosità dell’ostentazione del personaggio storico più importante del paese, quello che conquistò mezzo mondo conosciuto e fece un culo così ai greci che non godono di molta simpatia da queste parti.
Ne ho avuto l’impressione quando dissi a Riste che la loro lingua mi sembrava un misto di russo e greco, suscitando un moto di fastidio e sentendomi rispondere che somiglia di più al turco (cosa un po strana, visto che il macedone rientra tra le lingue slave).
In ogni caso, per quanto organizzata e civile la capitale possa essere, ci appare abbastanza senza senso una visita approfondita.
Magari meriterebbero di più i dintorni, come la grande montagna che sovrasta la città, con su piantata una croce che, illuminandosi di notte, ricorda a tutti chi è che comanda.
Già stanchi per l’afa della giornata
Puntiamo verso la Bulgaria cercando di evitare l’autostrada
Non senza una piccola diatriba di coppia sull’uso del navigatore, a cui pone fine lui stesso perdendo il segnale e inchiodandosi miseramente. Attraversiamo quella che ormai è diventata una campagna sconfinata tappezzata di girasoli, sempre più simile allo stato in cui stiamo per entrare.
Le indicazioni non lasciano dubbi sulla direzione da seguire. Un cartello in particolare mi fa sorridere, facendomi pensare che il personaggio più osannato della storia di Catanzaro(Massimo ‘o Rey’ Palanca) possa avere origini Macedoni.
Compriamo da mangiare poco prima del confine in una bottega piccola ma ordinata in un posto dimenticato da Dio sulla strada. I proprietari sono una coppia pacata e gentile che ha l’aria di aver trascorso lì tutta la vita. Li osservo nei loro gesti pazienti e quasi automatici nel servirci mentre comunichiamo con loro in un misto di gesti e russo.
Ne approfittiamo per bere qualcosa di fresco e indossare gli antipioggia per un po d’acqua che viene giù mentre siamo fermi a bere qualcosa di fresco. Ci stiamo decisamente avvicinando alla Bulgaria e lo vediamo dai veicoli sempre più datati. Il pranzo lo faremo in una stazione di servizio dove facciamo rifornimento con gli ultimi dinari sotto gli occhi ammirati del benzinaio. Ci avviciniamo alla frontiera mentre penso che bisognerà tornare qui per perdersi nelle campagne.