Mentre i compagni di viaggio giocano con le moto sulle dune dellàErg Chegaga, la mia ttenzione viene catturata da una tenda poco distante. Allestita con tappeti pesanti e materiali apparentemente di recupero, la costruzione sembra un rifugio temporaneo. Il suo abitante fa capolino appena arrivo nei pressi, invitandomi a entrare per un tè.
L’interno è tutt’altro che è effimero e, sebbene le pareti siano in tessuto, ha tutta l’aria di essere una sistemazione piuttosto stabile. Tappeti a terra e cuscini in ogni dove, sembra essere divisa in zona giorno e notte. Non manca un serbatoio per l’acqua, coperto da stoffe, e una radiolina a pile per ingannare il silenzio della sabbia. Offro ad Alì, questo il suo nome, una sigaretta delle mie e, sorseggiando educatamente il tè, mi racconta di sé. La moglie e i figli vivono a una trentina di chilometri verso l’interno dell’Erg, in un punto imprecisato che sa come raggiungere; lui vive in quella tenda a pochi chilometri da M’Hamid el Ghizlane e lavora con i turisti, portandoli tra le dunbe a dorso di cammello o vendendo loro fossili e monili che mi porta a vedere.
La tenda-negozio si trova a una cinquantina di metri più a sud e, per raggiungerla camminiamo sulla sabbia fine costeggiando altri manufatti effimeri. Vengo così a sapere che la tenda in rafia bianca in lontananza è la toilette. Il negozio ha una porta in legno chiusa con lucchetto dietro la quale, ben ordinati, si trovano in mostra trilobiti, rose del deserto, esempi di artigianato berbero e tuareg troppo a buon mercato per essere autentici. Scelgo qualcosa da comprare e purtroppo, in virtù della simpatia reciproca, la trattativa non è serrata come mi piacerebbe.
Tornati al suo alloggio è tempo di saluti e mi trovo costernato alla richiesta di Alì di fargli avere la foto in posa che gli ho fatto e alla quale ha acconsentito solo dopo aver indossato il suo boubou celeste. «Nessun problema, mandamela su facebook» mi risponde lui. Non avendo io una scheda marocchina, Alì mi appunta su un foglietto il suo contatto social corredandolo col disegno sua immagine di copertina — un sole nascente tra le dune — in modo da poterlo distinguere tra i tanti.
Prima di salutarci definitivamente gli chiedo quanti anni abbia, mi risponde :«Quaranta, forse cinquanta. Non lo so… nel deserto non ci sono registri». Lo saluto con una stretta di mano calorosa, promettendo all’uomo blu di chiedergli l’amicizia sul social blu, stupito e contento del salto tecnologico che permetterà a un uomo del deserto che non conosce la sua età di ricevere le sue foto da un altro continente.