Chissà come sarebbe essere Ted Simon. Confesso di averlo pensato almeno una volta da quando, neanche tanti anni fa, lessi I viaggi di Jupiter. Rimasi fulminato, come molti di noi, dalla storia di questo quarantenne che si lasciò tutto alle spalle per vedere il mondo con i suoi occhi e raccontarlo a un’Europa sempre più impaurita dalla crisi mediorientale, con l’incubo del petrolio agli sgoccioli e lo spauracchio sovietico incombente.
I viaggi di Jupiter, l’ultima odissea dell’era contemporanea
Di sicuro mi sono chiesto come ci si senta durante e dopo un viaggio che molti reputano impossibile per ragioni legate alla situazione politica internazionale o semplicemente per la propria situazione personale e familiare. Avrò pensato a un senso di onnipotenza piuttosto invadente, alla spavalderia di chi ha compiuto l’irrealizzabile. Poi mi sono spinto più in là, a volte da solo altre accompagnato, e mi sono accorto che di irrealizzabile a questo mondo c’è ben poco.
Ho scoperto che l’emozione e il senso di onnipotenza che inevitabilmente pervadono il viaggiatore di lunga distanza lasciano il posto a stanchezza e frustrazione dopo qualche mese e qualche litro d’olio bruciato dal motore. Mi tornò in mente questa domanda verso la fine del viaggio, forse in Ecuador o in Bolivia quando, per diversi motivi, non ne potevo più e l’unica cosa da fare era accorciare i tempi di rientro. In stile Marzulliano mi diedi una risposta.
Forse essere Ted Simon è come essere chiunque altro.
Poi sono tornato e ho iniziato a chiedermi a cosa voglia dire essere Totò le Motò al ritorno da un viaggio, senza trovare finora risposte entusiasmanti. Insomma, a Ted Simon non ci ho più pensato fino al 17 Aprile scorso, anzi qualche giorno prima, quando lessi che Roberto Parodi lo avrebbe intervistato pubblicamente all’Arsenale di Verona in un incontro organizzato dal buon Luigi Licci, patron della Libreria Gulliver specializzata in letteratura di viaggio.
Dopo un pomeriggio di dubbio amletico tra il fare lo scrutatore e scriverci un articolo per Motociclismo, optai per la seconda: trovai un sostituto, mentre un passaggio in auto trovò me e domenica 17, dopo aver fatto il mio dovere di cittadino milanese residente che vota sotto casa, ho conosciuto i miei compagni di viaggio. Davide lo conoscevo già, Diego e Chama conoscevano me: con ‘sta storia dei viaggi avrò buttato tutti i soldi che avevo, ma almeno ho trovato un sacco di gente che mi vuole bene. È stata una bella giornata di chiacchiere in amicizia tra gente col pallino della fuga a lungo termine e non poteva essere altrimenti, visto che eravamo lì per conoscere quell’uomo che, raccontando la sua storia, ha convinto tanti, compreso il sottoscritto, che valesse la pena dare un calcio in culo alla routine per riscoprirsi nomadi curiosi.
Una cosa che ho capito da tempo è che a conoscere leggende viventi ci si resta male, ma in questo caso ho trovato ciò che mi aspettavo: un ottantacinquenne che si muove lento con la schiena curva e che ti guarda dall’alto delle lenti che inforca per firmare gli autografi. Il suo british humor non l’ha abbandonato e fa quasi strano pensare che un’anziano così composto possa essere stato sbattuto in prigione in Brasile durante un viaggio di quattro anni e cinque continenti. Erano tempi diversi, in cui il termine viaggio veniva inteso non tanto in senso fisico quanto mentale ed esperienziale: erano di quegli anni i viaggi verso l’India attraverso l’Hippie Trail di tanta gioventù che pensava di scoprire se stessa attraverso la dimensione spirituale dando vita al business di baba e santoni.
Esperienza è un termine da lui usato più volte durante la nostra chiacchierata, portandolo tutto nello sguardo di chi, ora più che mai, ha bisogno di raccontare la sua vita e il suo punto di vista sul senso delle cose. L’intervista, insieme ad alcune mie riflessioni, uscirà prossimamente su Motociclismo.
Qui mi basta dire che essere Ted Simon oggi vuol dire forse essere quello che un viaggiatore dovrebbe diventare nel bene e nel male: semplicemente e umilmente un essere umano che metabolizza esperienze da lasciare agli altri, affinché partano per vivere le proprie. Consapevole dei tempi che sono cambiati e di un mondo ormai stravolto rispetto a quarant’anni fa il suo consiglio, quasi un imperativo, di scrivere un libro diventa un monito a dare la propria versione dei fatti: me lo dice serio guardandomi fisso negli occhi, dopo una smorfia leggermente accennata di disgustata impazienza, alle mie parole blog, rivista e youtube.
Perché scrivere
Il perché può sembrare scontato ma ormai non facciamo più caso alle troppe fotocamere in ogni angolo del Mondo, ai milioni di video che dicono tutto senza dire niente. Sedersi, raccogliere idee, essere critici e selettivi diventa l’unico modo per raccontare una storia per come la si é vissuta e metabolizzata. La fotografia ha il grande potere di fissare la realtà del momento, a essere bravi si possono costruire grandi storie, evocare memorie ancestrali, commuovere, raccontare una dimensione umana o geografica. Lo stesso vale per le immagini in movimento, che coinvolgono anche il senso dell’udito. È però la scrittura la forma più potente nella comunicazione di un esperienza. La parola ha il potere di poter descrivere tutti i cinque sensi di un’esperienza, aggiungendone un sesto che è la dimensione emotiva. Di più, la parola scritta permette di rileggersi e riscriversi, dando modo di raffinare i pensieri e renderli concetti.
Mr Ted Simon è diventato, suo malgrado, il Padrino dei motoviaggiatori per la sua capacità di raccontare quanto vissuto: la grandezza e la miseria dell’essere viaggiatori in un mondo instabile a bordo di un mezzo precario. Da gran cantastorie della vita vera, non ha deluso l’aspettativa umana di chi, come me, ha speso un pomeriggio ad ascoltare dal vivo le sue parole, tradotte da un impeccabile Francesco Veneziani che non ha battuto ciglio neanche nel tradurre la domanda posta dal sottoscritto, che a farla mi stavo quasi incartando io. Ancora il Marzullo che è in me: finirò col chiedermi se la vita e un viaggio o i viaggi aiutano a vivere meglio?