Una giornata ad Astrakhan per prendere fiato prima dell’ingresso in Kazakhstan. Tra banya e devozione ortodossa, una giornata da turista solitario.
Arrivo che è buio e dopo un po’ di giri (temendo sul serio di ripetere la storia di Rostov) sbarco all’hotel più economico della città, vicino alla stazione.
Astrakhan
L’aria si appiccica addosso per quanto è umida e ci sono mugoli di zanzare che ronzano ovunque.
L’appartamento non è pulitissimo, ma va bene. C’è una cucina, il bagno con vasca e un’altra stanza occupata da un uomo che non vedrò mai. Oltre che da un paio di blatte che ansiose di salutarmi trovano una fine spietata e indegna. L’indomani faccio il turista in città.
Dopo aver comprato due schede di memoria vado verso il centro in marshrutka (taxi collettivo) seguendo le indicazioni della padrona dell’albergo.
Visita al Cremlino e alla cattedrale, che stanno nella stessa cinta fortificata, dove silenziosamente mi godo lo spettacolo della devozione ortodossa
Faccio un giro nella città vecchia, composta per lo più da piccole casette in legno a uno o due piani che lentamente cadono a pezzi.
Sosta caffè in un bar e poi decido per una botta di terme. Al bar mi dicono che delle vere e proprie terme non esistono, ma si trovano piccoli “banya”.
Il primo che trovo è ancora chiuso ma mi fanno entrare lo stesso, però rifiuto per il prezzo troppo alto anche se è molto gradevole e pulito e sono l’unico cliente, col bagno turco tutto per me. Più avanti sulla strada ne trovo uno più economico ma un po’ cadente. Non c’è hammam ma solo sauna. Va benissimo purché sia caldo e mi sciolga i muscoli di braccia, schiena e collo induriti da giorni di vento e moto.
Mi danno una stanza tutta per me composta da una sala relax e una zona doccia con dentro una gran vasca d’acqua (dall’odore, credo sia di fiume). Dalla stessa stanza si accede alla sauna vera e propria, e la brace è aromatizzata con foglie di conifere e di eucalipto. Trovo il braciere in piena attività che sembra di stare all’inferno. Ne esco dopo un ora col morale alle stelle ma ritorno in terra quando la signora del chiosco dove compro da bere mi urla ripetutamente quanto pagare perché non capisco.
Bevo il mio litro d’acqua e integratori vari nella piazza Lenin, da solo, osservando lo struscio della gente del posto. Mi sento davvero uno straniero in terra straniera e la malinconia mi sale addosso che neanche me ne accorgo.
Da molte auto c’è gente che continua a scandire slogan agitando bandiere russe e altre che non conosco. Un uomo all’hotel dove prelevo un po’ di contante mi spiega che oggi è l’anniversario dell’aviazione russa e questi sono fanatici nazionalisti ‘mbriachi persi dalla mattina.
Mi fermo a cenare su una nave ristornate attraccata sul lungofiume e finalmente riesco ad isolarmi dalla caciara dance dei locali dello struscio serale. Dopo una vodka al banco bar, mentre rimetto le mie cose nel borsello, vengo circondato dalle cameriere che mi portano alla cassa (che si trova a un metro) intimandomi di pagare.
Torno in albergo in taxi e lascio felicemente una discreta mancia al tassista che non rifiuta di fare conversazione e si sforza di parlare inglese. Gli chiedo a cosa serva la piccola videocamera che accende alla partenza. Mi risponde che vale come prova in caso d’incidente. Rimango un po’ deluso da Astrakhan, in passato snodo importante della via della seta più settentrionale.
Mi aspettavo di trovare l’ospitalità schietta della Georgia o qualcosa di simile a quella turca, ma mi sbagliavo.
Vado a dormire pensando che nelle città minori della Russia, per quanto grandi, non sono ancora pronti per il turismo internazionale e forse non gliene frega neanche granché.
Mi chiedo da dove nasca questa diffidenza verso lo straniero che, anche se vestito decentemente, è un potenziale imbroglione che scappa senza pagare.
Ho i documenti in regola, una macchina fotografica e soldi per pagare un albergo e un ristorante. Però posso avere una vaga idea dell’avere addosso il pregiudizio sullo straniero. Mi hanno stufato le città di questa nazione. Il capitale vi si è abbattuto di colpo e in vent’anni ha reso tutto un surrogato dell’occidente, ma in questa parodia rimane forte il ruolo da protagonista del funzionario, ora interpretato da chiunque abbia una divisa, anche da supermarket. Ma alla fine tutto questo è secondario: come ho scritto a mia sorella per sms, il vero viaggio comincia domani.
Domani entro ufficialmente in Asia Centrale.