E anche per quest’anno ci siamo tolti il pensiero: EICMA 2016 è finito e con lui quella settimana convulsa di pellegrinaggi, curiosità, novità vere e presunte che restituisce lo stato dell’arte della produzione motociclistica mondiale. Quest’anno già dai primi giorni, dedicati a stampa e operatori, c’era un bel po’ di gente, che è diventata caciara vera nei giorni di apertura al pubblico, quelli fastidiosi e stressanti in cui gli stand dei grandi marchi fanno a gara a chi pompa di più la tamarro-dance dal suo megaimpianto, quei giorni in cui torni a casa senza voce e con un fischio costante nelle orecchie come se fossi stato a vedere gli AC-DC.
L’anno scorso, appena tornato dal Giro Lungo, ero fisso allo stand di Motociclismo insieme a Sofia e Peppina e ho fatto pochi giri tra gli stand. Fortunatamente la gloria e i suoi impegni durano il tempo di una fiera e a ‘sto giro, non avendo nulla di cui fare lo sborone, ho potuto dedicarmi a gironzolare per i padiglioni a sbirciare cosa ci sia di nuovo nel mondo delle due ruote oltre che a fare pierraggio a oltranza, ché con la gloria non si viaggia, né tantomeno si campa. Su quest’ultimo aspetto spero di darvi aggiornamento al più presto, qui vi dico la mia su quella che mi sembra essere la direzione presa dal mercato delle Adventure Bikes, come piace chiamarle agli anglosassoni.
EICMA 2016. Il tuo è più grande, ma piccolo è meglio
Questo è il titolo del breve report che ho scritto per Overland Magazine, pubblicato al volo dalla rivista britannica sul suo sito, nel tentativo di riassumere le due tendenze di questo mercato tuttora in evoluzione. Se negli anni ’80, all’epoca d’oro della Paris-Dakar, una scarna moto da 600 cc era più che sufficiente a esplorare il mondo, negli ultimi 15 anni il mercato (e ancor più il marketing) ci hanno convinti che senza un bue da 1200 cc non si possa neanche uscire oltreconfine.
Quest’idea rimane solida e le case più blasonate insistono su questa linea. KTM, con la sua serie Adventure in versione street e offroad, propone due belve da 125 e 160 cv che per essere guidate senza ribaltarsi necessitano di diavolerie elettroniche in quantità: ABS, controllo di trazione, stability control, controllo del rilascio frizione, aiuto per partenze in salita. BMW monta marchingegni simili per le sue GS1200, affettuosamente definite “mucche” dai loro felici possessori, per tenere a bada i 125 cv e più di 230 kg di cui è stata presentata la versione rally con assetto da competizione e abbondanza di protezioni. Se l’allestimento da gara ha molto senso sulla F800GS, dalle dimensioni e peso più umani, mi chiedo quanti siano i possessori con un manico adeguato a questi veicoli e quanta della potenza a loro disposizione usino quando sono fuori dall’asfalto.
Il grande malinteso
Sono in molti ad avere l’illusione che basti il veicolo a fare il pilota, ma su due ruote questo non basta. Potenzialmente chiunque può guidare un TIR con rimorchio: ci stai seduto dentro, inglobato dalla massa del mezzo come un carico qualunque. Guidare una moto, invece, vuol dire diventare parte integrante del veicolo, se ne altera il baricentro, il proprio peso interagisce con quello della macchina. E devi avere una statura adeguata alla moto che guidi. E infatti la definizione di Centauro per i motociclisti non è un richiamo letterario.
Ovviamente ci sono delle deroghe e non c’è una regola fissa ma, parlando di guida in fuoristrada per fini esplorativi, diciamo che i cazzi diventano grossi nei momenti di indecisione, sulle mulattiere e tutte le volte in cui c’è bisogno di mettere i piedi a terra e fare affidamento alle proprie forze. Il marketing ci ha convinto che tutti saremmo dei gran piloti con la moto più potente ma non funziona così. La moto è come le mutande: ognuno con la sua taglia. Se è troppo grande ci sguazzi, se troppo stretta ti si infila dove non dovrebbe.
EICMA 2016. Si torna indietro
La strada l’ha aperta Honda l’anno scorso, in un certo senso, presentando la tanto sospirata Africa Twin equipaggiata con un motore di “soli” 1000 cc. In tanti aspettavano una moto potente ma dalle dimensioni più contenute e più agile ed è stato un gran successo, tanto che a EICMA 2016 è stata presentata nella versione con cockpit da rally e sospensioni racing, insieme a un concept alleggerito di tutte le plastiche superflue. Ducati tira fuori una Multistrada da 950 cc, più snella e con “soli” 100 cv di potenza. Un segnale importante dopo la versione enduro da 160 cv che, a me personalmente, fa paura solo a vederla. Interessante è anche la Scrambler Desert Sled, non proprio economica ma dannatamente stilosa e con una ciclistica adeguata a zingarate polverose. A patto di montarci su un parabrezza e un telaio per le valige.
Tra le soluzioni di media cilindata spicca la SWM 650 Super Dual, derivata dai progetti e dalla linea di produzione Husqvarna, allestita con telaio paramotore, faretti, portapacchi e valigie, oltre a una sella a due livelli.
La Cina è vicina e l’hanno capito anche le grandi case. Per contrastare l’avanzata nei mercati asiatici di case come Zongshen, che stanno tirando fuori moto apparentemente sempre piú votate alla solidità, anche i grandi marchi tirano fuori dal cilindro le versioni ridotte dei loro modelli di punta. Vediamo così esposte BMW G310GS, Suzuki V-Strom 250, Kawasaki Versys 300, con tutta probabilità destinate ai mercati asiatici (e magari anche sudamericani?) ma non è escluso siano la chiave di volta per riavvicinare i più giovani al mondo delle due ruote alte sul mercato europeo.
La Capra dell’Himalaya
A mio avviso nessuna di queste sedicenti novità rappresenta una svolta vera nel mercato. La cosa che mi ha davvero esaltato è stata senza dubbio la Royal Enfield Himalayan. Ecco, quella rappresenta una vera svolta nella filosofia della moto da viaggio. Non ci sono plastiche da rompere cadendo, sostituite da telai su cui attaccare borse, valige e taniche. Ha una discreta altezza da terra e un serbatoio da 15 L capiente abbastanza per il piccolo motore da 410 cc. Sicuramente 25 cv fanno ridere anche di fronte a qualsiasi mono di media cilindrata ma la filosofia di questa moto è completamente diversa, come lo scenario di utilizzo per cui è studiata.
Le dual sport, per come le intendiamo, sono derivate dalle moto in stile Dakariano, sostanzialmente degli enduro irrobustiti e con serbatoi molto capienti per affrontare le lunghe tratte desertiche lanciati in scioltezza e aggressività. Come dicevo prima, mostrano la corda quando si arriva alla mulattiera o quando il pilota ha delle incertezze. L’ho verificato di persona con la mia Ténéré in Nepal, sulla strada per Jomsom: dovendomi fermare di continuo per far scendere Peppina o capire da dove passare, era un grosso problema ripartire senza perdere l’equilibrio. Troppo alta la sella, troppo potente il motore: non potevo aiutarmi zampettando, non riuscivo ad andare avanti senza scavare buche col posteriore.
Voi direte: “ E beh, sei tu che non hai manico!”. Vero, ma quanti pilotoni ci sono in giro? Lo schiaffo all’orgoglio era vedere turisti su Enfield o locali su piccole motorette, entrambi carichi come muli e magari in due, salire come caprette. Qualcuno dice che le saldature della Himalayan non sono adeguate, qualcun altro dice che il motore fa ridere, altri ancora dicono che si smonterà da sola per strada. Io dico di dare tempo al tempo e vedere come si comporta su strada e soprattutto fuori strada. Di certo mi piacerebbe indicasse una strada da seguire per tutti, una strada fatta di moto senza fronzoli e poche plastiche, fatte apposta per cadere sui pietroni senza patemi d’animo.
EICMA 2016. Promesse per il futuro
Non che io sia prossimo a cambiare moto (fin quando non esplode il motore sarà la più bella del mondo) però seguo con interesse cosa succede nel mondo delle dual sport di media cilindrata. Yamaha ha finalmente dichiarato apertamente che l’amata Ténéré monocilindrica andrà in pensione. Lo ha fatto presentando il prototipo T7, una dual sport in versione rally con su il bicilindrico da 700 cc usato sulla MT-07. Il serbatoio in alluminio ricorda quello della attuale XT660Z ma, nel complesso, si tratta di un concept completamente diverso. La strada da qui al modello di serie è lunga: c’è da trovare il giusto spazio per il passeggero, l’assetto da viaggio, ma soprattutto c’è da lavorare molto per abbassarne il baricentro, in posizione critica per una moto già troppo alta. Aspettiamo con ansia quella che potrebbe essere la moto definitiva e tutto terreno da viaggio. Io, intanto, rimetto in sesto la mia Sofia.
Ché la moto migliore è quella che hai già.