Ho avuto modo di fare un test della Ducati Multistrada 1200 Enduro qualche settimana fa. Motociclismo mi aveva chiesto di andare in Molise per un reportage da pubblicare sullo Speciale Turismo di luglio (che trovate ora in edicola) e io, che sono sempre in cerca di scuse per muovere il culo dalla poltrona, ho accettato di buon grado. “Ti diamo una Multistrada”: bene, la cosa si faceva interessante non tanto per la moto in sé, quanto per il fatto che sarei dovuto partire da Milano e raggiungere la destinazione in una giornata, per ritornare nello stesso tempo una volta concluso il giro.
La moto mi aspettava nella sede di Edisport: pulita, fiammante e attrezzata con due belle valige Touratech abbastanza capienti da buttarci dentro il necessario per una settimana insieme alle caciotte che avrei portato alla signora come pegno l’assenza. Essendo abituato a chiavi e cruscotti, sono rimasto un po’ perplesso nel vedere che la chiave apre solo il serbatoio e il sottosella: per sbloccare e accendere la moto basta avvicinare la chiave al sensore di prossimità. Per spegnerla si usa lo stesso tasto dell’accensione che, con una pressione prolungata, inserisce e disinserisce il bloccasterzo. Tutto è controllato (forse un po’ troppo) elettronicamente e la cosa mi incute un po’di timore. È ora di andare: è mezzogiorno passato, fa un caldo boia e devo spararmi settecentocinquanta chilometri di autostrada.
Ducati Multistrada Enduro 1200. Quel faccino un po’ bovino
Al primo autogrill, non avendo ancora capito come si inserisce il bloccasterzo, la tengo d’occhio di continuo dalla cassa e corro subito fuori non appena possibile. Non sia mai mi ciulassero una moto del parco stampa posso solo correre più lontano possibile. La Ducati Multistrada 1200 Enduro suscita interesse e attenzione: sono in molti a girarci intorno, guardandola e rimirandola con espressione libidinosa. Fumo una sigaretta sulle scale dell’ingresso, mentre lei punta i suoi occhi cattivi nei miei. Il gruppo ottico ha una coppia di luci in più, sull’esterno: scoprirò alla sera che sono cornering light, ovvero anabbaglianti supplementari che si accendono in curva, appena si inizia a piegare un po’.
La guardo meglio e mi accorgo che con tutta probabilità i progettisti si sono ispirati alle forme di un torello incazzoso per la carena: il grande serbatoio termina nelle prese d’aria sul becco che ricordano la narice del bovino pronto a caricare e il grande gruppo dei fari conferisce una linea rabbiosa e cazzuta. Ma a voi che state leggendo poco importa di questioni estetiche. Volete sapere come va, e ora ve lo dico.
Ducati Multistrada 1200. Enduro sí, ma non per tutti
Tralasciando la scheda tecnica, che potete trovare sul sito del produttore, la cosa che si percepisce appena in sella è il peso, insieme alla mole. I trenta litri di serbatoio insieme agli ottantasette centimetri della sella danno subito senso d’impaccio a chi, come me, è abituato a dimensioni più gestibili (anche se la mia Sofia, un fuscello proprio non è). L’impaccio sparisce non appena ci si mette in marcia: in quel momento il torello assume la maneggevolezza di una media cilindrata e le dimensioni generose trasmettono senso di sicurezza estrema, merito anche della ciclistica ben dimensionata.
La sella comoda, il parabrezza ben calibrato e il manubrio alto e largo regalano al pilota una guida più che confortevole. Le due tirate autostradali da settecentocinquanta chilometri sono state impegnative solo per il caldo torrido bel oltre i trenta gradi, ma quello è un problema che i tecnici Ducati difficilmente potranno risolvere. Dal punto di vista dell’ergonomia e dell’affaticamento, sono invece scivolati via piacevolmente.
Tanta potenza ben dosata
La Multistrada 1200 Enduro va come un treno. È una di quelle moto concepite in piena filosofia da deserto, secondo la quale il terreno è da aggredire lanciati con tutta la potenza a disposizione. E di potenza ne ha tanta. Centosessanta cavalli scalpitanti e tenuti a bada da tutte le diavolerie del caso come controlli di trazione, assistenza alla ripartenza in salita e compagnia bella. Il motore della Multistrada 1200 Enduro dispone di quattro mappature, installate di serie, che cambiano l’erogazione del motore e l’assetto delle sospensioni.
Delle quattro mappature disponibili (Urban, Touring, Sport ed Enduro) mi è risultata più gradevole la Touring. La Urban è piuttosto fiacca e mi ha dato l’impressione di trasformare il torello in un cascettone, ma calza sicuramente a pennello nel traffico urbano, magari sul sanpietrino assassino reso viscido dalla pioggia. La mappa Sport è quella da vero teppista: le sospensioni si induriscono e il motore diventa arrogante nel vero senso della parola, tirando come un delinquente appena si spalanca il gas: un vero Frecciarossa.
Io, che sono una pippa di medio livello e amante della tranquillezza ho preferito lasciare fisso su Touring, con le sospensioni a un livello confortevole e un’erogazione vivace quanto basta per rendere il motore strafottente con simpatico brio, pronto a scalare qualsiasi pendenza e riprendersi in sesta, ma senza strappare le braccia. In ogni caso l’impressione generale è simile con tutte le mappature: avere questo milleddue che urla e vibra tra le gambe, mentre lo si guida a braccia larghe guardando la strada dall’alto, fa sentire padroni del mondo, invincibili e pronti a tutto. In una parola, fa sentire di averlo grande.
Ma qui casca l’asino. E pure la moto
Invincibili fino alla prima inversione su una stretta strada di montagna. A Bocca della Selva, a cavallo tra Molise e Campania, avevo distrattamente superato un posto buono per una foto. Ho avuto la malaugurata idea di fare inversione senza cercarmi uno slargo, direttamente sulla strada e in discesa. Un attimo di incertezza nel gas a metà manovra e la moto si è appoggiata a sinistra, ovviamente sul manubrio. Attenzione, non parliamo di una caduta, ma di una manovra maldestra che tutti facciamo ogni giorno, praticamente da fermo. Che non fosse facile da rialzare lo immaginavo, la vera sorpresa è stato vedere il paramani rotto, tranciato di netto dal peso della moto. Questo basterebbe già a far smadonnare il buon lavoratore che ha lasciato ventimila e rotti euro al concessionario. Ma va bene, può capitare.
L’errore di progettazione, quello veramente imperdonabile, è che questi sottili paramani, oltre a incorporare le frecce, ospitano i serbatoi del liquido freni (a destra) e quello della frizione idraulica (a sinistra). Cioè sono proprio attaccati lì sopra. La foto non l’ho fatta, avevo un problema da risolvere: ho svalicato con il paramano penzoloni, retto solo dal tubo del liquido frizione andando piano nel timore di danneggiarlo. Volendo fare un lavoro pulito ho provato con l’attak ma non ha funzionato. Ha retto benissimo invece lo scotch da imballaggio, contribuendo a dare un certo look arripezzato, più consono al pilota. Altra pecca che mi sento di segnalare è il catalizzatore troppo vicino alla pedana sinistra: nel giro di due giorni e un migliaio di chilometri ha provocato uno scollamento dello stivale in corrispondenza del tallone.
Ritorno alla realtà
Ho avuto la Multistrada 1200 Enduro per cinque giorni e ne sono bastati un paio per entrarci in confidenza. Alla fine avevo capito come utilizzare il mio peso nelle manovre da fermo, stando attento a sfruttare ogni minima pendenza della strada per aiutarmi. Ho capito come affrontare le curve con precisione, tenendo conto della sua massa e regolando la velocità di conseguenza. Insomma, al quinto giorno la sentivo ormai quasi come fosse la mia moto. A differenza del primo giorno non ero più intimorito dal peso e delle dimensioni ma me la spassavo non poco, muovendomi anche con una certa agilità nel traffico.
A missione terminata l’ho riportata da Edisport, dove ad attendermi c’era Sofia, la mia Yamaha Ténéré 660, che di colpo mi è sembrata piccola e malandata. Quando ci sono salito per andarmene mi è sembrata completamente ingestibile, con un manubrio piccolo e basso, l’anteriore da 21″ che se ne andava dove voleva lui, le sospensioni ormai spompate che la facevano rimbalzare come un’altalena nonostante il peso apparente di una Graziella. Mi è sembrata un brutto catorcio scricchiolante che vibra e spiritacchia senza grinta.
Quella brutta sensazione ora è passata ma quel giorno, mentre me ne tornavo a casa sull’ingestibile 650cc, di colpo mi sono sentito povero.