Ecco qua… Sono anni che aspettavo di scrivere questa cosa e ora non so cosa dire. Ho un botto di cose in testa, tutte m i sembrano fondamentali e insieme fregnacce epocali. Vabbò, intanto vado al sodo:
Totò e Peppina partono. Per un Giro del Mondo in Moto
Ecco, cazzo, l’ho detto! ufff….
Voi direte: ” e ‘sticazzi?”. E avete ragione: Centinaia di persone l’hanno fatto prima e altrettante lo faranno negli anni a venire. Centinaia lo stanno facendo in questo momento, mentre siete a leggere queste parole invece di farvi un giro nell’aria estiva, ché troppo internet fa male. Però se proprio volete saperne di più continuate pure, io ve l’ho detto.
Il sogno di fare questo viaggio l’ho covato per anni, più o meno da quando lessi e vidi “Long Way Round”, convincendomi sempre di più che per un comune mortale di quasi quarant’anni senza sponsor e strutture alle spalle fosse impossibile fare un viaggio così lungo. Nello stesso periodo, però, mi imbattei nel mondo dei forum e trovai le gesta di Gionata Nencini, che stava in giro da anni sponsorizzato dalla sua gioventù e strafottenza. Fu esaltante e deprimente, perché la strafottenza potevo pure farmela venir fuori ma la giovinezza no, avendo passato da un po’ i trent’anni. Poi ho scoperto Momi, al secolo Maurizio Zanni, che senza preparazione, con una moto di svariate mani e attrezzatura del Lidl arrivò in scioltezza in Asia Centrale. Ecco, lui dimostrava che basta partire col minimo e andare. Poi piano piano si arriva.
Lavorai tosto per viaggi estivi tra Balcani, Turchia e Caucaso, aprendo uno squarcio nel muro di una vita solidamente votata al raggiungimento di uno status fittizio ed effimero. La mia vita mi piaceva ma il senso di vuoto alla bocca dello stomaco era troppo forte. La chiamano noia, e forse il termine calza, ma era qualcosa di più. Era rendersi conto di non aver visto niente del mondo e di tutte le storie che contiene.
Poi lessi Ted Simon e quello fu il cortocircuito definitivo. Leggere di un uomo che a 42 anni suonati fa il giro del mondo nell’epoca in cui io nascevo fu devastante. Non avevo più scuse: l’età non poteva essere il limite insuperabile che mi costringeva a proseguire su una strada ormai ostile a questa nuova prospettiva, con un lavoro ormai diventato odioso per le sue dinamiche le quali, mi resi conto, non era cosa mia gestire.
Accettare di aver fallito, prima di diventare un fallito. Questa fu la chiave, arrugginita e pesante, da girare.
Iniziai a girarla preparandomi a fare ciò che avevo in mente da tempo: andare a Samarcanda per vedere l’effetto che fa. L’effetto lo fece, se sono qui a scrivere queste cose. Non Samarcanda, ma tutta la strada e la gente incontrata, mi fecero capire che quella nomade, al momento, è l’unica condizione in cui mi sento padrone di me stesso, delle mie azioni e dei miei pensieri. Non è libertà, quella non esiste. Parlo di consapevolezza e padronanza delle proprie scelte, che sono altro dalla libertà.
A maggio 2012, mentre preparavo questo viaggio, conobbi Alessandra e passammo tutta la serata a parlare di viaggi e di fughe nel mondo. Lei aveva appena comprato un biglietto per l’Ecuador. Colpo di fulmine fu, e pure grosso. Tre mesi dopo eravamo a 11 ore di fuso, lei tra missioni e giungle amazzoniche, io a fare il cazzone tra le sabbie kazake.
Al ritorno eravamo più legati di prima e si iniziò a discutere di come riuscire ad avvicinarci, vivendo lei a Milano e io a Roma. Di trasferirmi a Milano come sguattero in uno studio non se ne parlava, mi sarei sparato nelle palle alla prima settimana. Lei propose un suo assurdo trasferimento a metà, che rifiutai categoricamente: non accettavo l’idea che buttasse nel cesso quanto costruito per fare la fidanzatina del quarantenne irrequieto. Dopo scazzi epocali ci siamo detti “Né maestre né architetti. Né Milano né Roma”. Il giro di prova lo facemmo nell’agosto 2013, tra Balcani e Carpazi: lo chiamammo “Operazione Membro di Segugio” perché partimmo veramente scalcagnati, senza sapere dove saremmo andati a parare. Era il suo primo viaggio in moto e, a parte qualche questione su come gestire i bagagli, andò bene: ci fu definitivamente chiaro di essere una coppia legata dalla zingaritudine. Fu un attimo chiamarsi Totò e Peppina.
E siamo qui. Partiamo per un giro del Mondo in Moto.
A settembre 2014 partiremo in direzione Turchia per poi entrare nelle repubbliche islamiche di Iran e Pakistan. Intorno a Natale dovremmo essere in Nepal dopo aver attraversato il nord dell’India e da lì voleremo insieme alla moto per Bangkok, da dove inizieremo il giro di Laos, Vietnam e Cambogia per poi tornare nella capitale thailandese e imbarcarci nuovamente per il Sud America. Sbarcati in Cile percorreremo Argentina, Perù, Bolivia, Ecuador, Colombia, Venezuela.
L’intenzione è quella di trovare un volo che da quell’area ci porti sulla costa occidentale dell’Africa, dalle parti di Dakar, per poi risalire lungo Mauritania e Marocco. Altrimenti proseguiremo in America Centrale e da lì voleremo per l’Europa. Abbiamo un anno di tempo per fare non so quanti chilometri. Gugol s’è inchiodato e non me lo vuole dire. Per un anno non timbreremo cartellini, non faremo per due giorni la stessa cosa, saremo ospiti in casa di chi si fida e ci fermeremo dove ci pare. Visiteremo missioni per conto di un’associazione italiana e mangeremo cosa troveremo in loco.
Vi chiederete il perché di quest’itinerario. Volevamo unire la mia curiosità sul mischione antropologico eurasiatico a quella di Peppina per il Sud America. I Sud del mondo sono la parte del pianeta alla quale entrambi ci sentiamo più vicini e che, presumibilmente, ospita la più alta concentrazione di Umanità, intesa come eterogeneità di pensiero e stili di vita. Entrambi abbiamo il prurito di vivere e vedere con i nostri occhi com’è davvero il mondo, andando oltre a quanto propinato dai media. Ed è anche la parte di mondo più economica da girare, per nostra fortuna.
Prurito mio in particolare è quello di raccontare il mio punto di vista sul mondo a chi non può vederlo di persona, o vorrebbe ma ne ha paura. Ve lo racconteremo dalle pagine di questo blog e con aggiornamenti dalla mia pagina Facebook. Non temete: non vi riempiremo le bacheche di soste pipì o di pit stop per rifornimento. Un articolo sul blog a settimana è sufficiente, due già sono troppi. Su Facebook ci faremo vivi quando ci sarà qualcosa di concreto da dire. Se no poi vi annoiate e non ci seguite più. In ogni caso scopriremo strada facendo cosa, come e quando postare.
Anche perchè se fai un giro del mondo in moto lo devi vivere prima di raccontarlo.
L’appuntamento fisso sarà quello sulla rivista Motociclismo che ha deciso di ospitarci in una finestra mensile sulla rubrica All Travellers dell’edizione cartacea. Non ringrazierò mai abbastanza Paola Verani e Mario Ciaccia per la fiducia e la stima che stanno dimostrando a questa coppia di scoppiati in partenza. E li ringrazio anche per la pazienza con cui mi stanno spiegando come si mette su un servizio o come si affina il racconto di una storia, quale foto funziona e quale no.
Perché è bello scoprire a quarant’anni che forse riesci a fare qualcosa che non avevi mai contemplato prima, ma se te lo conferma chi lo fa per lavoro da anni allora ci devi credere per forza.
E mò basta, che troppa poesia fa danni e vi potrebbe salire il diabete.